Interview with Marco Wilme
L’arte è comunicazione, un gioco espressivo sia per l’artista che per l’osservatore. Entrambi sono coinvolti nella suggestione che l’opera scatena. Colui che dipinge, anche se per stesso, manifesta estro, creatività e concretizza l’opera, divenendo lui stesso osservatore alla fine. In realtà, la visione costante di ogni Artista sancisce il termine del processo creativo. I bambini ad esempio come gli artisti, vanno avanti fin tanto che la loro attenzione si sposti su altro.
Cosa farei senza arte? Andrei a lavorare in cantiere come ho fatto per molto tempo. Mi mancherebbe molto l’indipendenza e la libertà dei processi creativi, essere me stesso vivendo un quotidiano più consapevole della frenesia meccanica di molti settori lavorativi.
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Nel mio lavoro ho cercato sempre di evitare qualsiasi tipo condizionamento, di contagio, nonostante abbia collaborato con molti artisti in passato. Secondo il mio modesto parere, ogni artista, nella sua ricerca espressiva deve cercare un’impronta che lo caratterizzi, che lo distingua, perché emulare qualcosa di originale già plasmato, non ha la stessa forza Suggestiva. La forza interiore di ognuno di noi, impatta in modo diverso nel creativo, e per questo ho sempre cercato di staccarmi espressivamente in modo da esser riconoscibile nella forza pittorica.
L’ispirazione… Bella domanda, una di riserva non c’è? L’ispirazione nella mia attività pittorica prende spunto dal reale, da qualcosa che ho osservato, che mi ha colpito. Essendo fortemente colorista a livello espressivo, gioco molto con l’idea originale, per poi arrivare ad un Punto in cui l’opera giunge alla fine. Già di mio quando non sono soddisfatto, rialto il lavoro svolto e riparto da capo. E’ ovvio che ognuno di noi quado lavora, cerca di far il meglio possibile, ma se hai l’ispirazione, e poi traduci male la creatività, per me è ovvio rieseguire un opera nuova su quella faustamente eseguita male.
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La prima più recente mostra, a Milano nel 2014, è avvenuta quando non esponevo si e no da almeno dieci anni. Azzardai presentando opere di formato grande, 150×150 per intenderci. Nel mezzo, a causa di un infortunio consegnai anche in ritardo ma nonostante questo la galleria mi fece esporre lo stesso. Ma la sorpresa fu, il giorno del vernissage, scoprire di essere l’artista d’apertura della mostra, con tanto di apprezzamento della gallerista e del pubblico. Non posso dimenticarlo perché neanche a scuola mi facevano tante domande come quelle ricevute quel giorno.
Le dichiarazioni più interessanti sul mio lavoro. Partiamo da una collezionista che ogni volta che vede le mie opere, comincia a fantasticare su cosa vede per ore, dicendo di amare alcuni miei lavori per le tinte utilizzate, perché rispecchiano il suo stato d’animo. Poi, le opinioni variano a seconda della sensibilità degli individui, perché non a tutti può interessare come lavori e cosa vuoi trasmettere, ma alcune sono anche persone curiose, nel senso proprio di esser attratte per mera curiosità di una cosa diversa dal solito.
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Partiamo dalla cosa più semplice, ovvero, se c’è energia, vi è ispirazione e tutte le necessità in campo per generare un processo creativo. È quel Qualcosa che nasce dentro e porti fuori, non importa la qualità, la tecnica o il tema. Certo a qualcuno interessano tema e tecnica, ma il tentativo di far vibrar l’opera infondendo vita è il compito principale dell’artista e il tema infine non è altro che il mezzo più affine. L’artista lo deve sentire e padroneggiare, ma non possedere.
Nel tempo il mio lavoro, diciamo che si è raffinato. Come sottolineo molte volte, è iniziato tutto per gioco, poiché dal giocare coi colori sulla tela, nascono trame fantasiose col pennello. E comunque l’evoluzione per qualsiasi esperienza artistica è inevitabile.
Interview with Marco Wilme